Per IRENE PAPAS

Il Ministro della Cultura di Grecia ha comunicato la morte di Irene Papas.
     Irene, finché vivrò io, tu sarai viva. La morte non ti scalfirà.
Lascio ai giornalisti di professione scrivere gli articoli che ti commemoreranno parlando della tua lunga carriera di attrice di teatro, cinema e televisione. Della tua bellezza mediterranea...
Qui io voglio ricordare il mio innamoramento per te. Mi sono innamorato a prima vista quando, seduto in una poltrona di un cinema di Roma, ti ho visto apparire in Zorba il greco. Folgorato. Rimasi folgorato.  Come Alan Bates ero pazzo di te, vedova con una tale carica sessuale sotterranea da distruggere chiunque a te si avvicinasse.
Ero a Roma da poco per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia. Il cinema con tutti i suoi mezzi mi seduceva dunque. Ma, quella volta fu diverso: mi innamorai  con tutto l'ardore di un adolescente di te, non di una luce che si consuma al buio su uno schermo bianco. Di te. Proprio di te.In carne e ossa. E' chiaro, senza speranza alcuna né di conoscerti né tantomeno di toccarti mai.
Il tuo volto mi riportava a casa, a Calimera, nella Grecìa salentina dove esisteva tutto un modo di vivere diverso, più arcaico: la  musica necessaria per la vita quotidiana, i sentimenti esagerati e quasi violenti, le madri che per salutarti alla partenza invece di abbracciarti ti davano uno schiaffo incapaci di altri contatti fisici con le persone amate. Mi eri familiare. Mi sembravi di casa.
       Gli anni passarono. Finii la scuola di recitazione, cominciai a lavorare.  Poi ti rividi nel Cinema della caserma, dove fui chiamato a fare il soldato, nel film Z l'orgia del potere con quell'altro gigante di Yves Montand che un giorno avrei incontrato sul set di Il genio di Claude Pinoteau. Ero conquistato perché avevo deciso di non metter piede in Grecia finché sarebbe stata al potere la giunta dei colonnelli.
Mai avrei immaginato in quel cinema il dono che la vita mi avrebbe riservato.
       Est. giorno - Roma, Via Angelo Brunetti - Agenzia "Vecchia Roma".
In abito da soldato di fine leva entro per trattare l'acquisto di una casa situata nel cuore di Roma. Una donna che mi dà le spalle è seduta al tavolo di ricevimento a parlare con la responsabile. Indossa un abito lungo di lana colore verde marcio. Una sorta di tunica. Ha finito di parlare. Sento i saluti. Si alza. Si volta verso di me che attendo vicino alla porta. E' Irene Papas! Occhi profondissimi, capelli corvini, carnagione scura. Sorride. A me. Mi paralizzo. Improvviso un sorriso. Lei avanza. Si ferma ad un passo da me come una delle sue eroine tragiche: "Che fai, bel soldato?" dice, ed io mi sento morire.
       Gli anni passano. Passano i film: Le Troiane, Le farò da padre, Ifigenia, Cristo si è fermato a Eboli, Il leone del deserto, Cronaca di una morte annunciata.
        Nel 1989 io interpreto il personaggio di Evelpide in Gli uccelli di Aristofane. Con me lavorano Elio Pandolfi nel ruolo di Pistetero e Paola Tedesco in quello di Upupa.
Siamo nel Teatro romano di Ferento, a pochi chilometri da Viterbo, per la recita serale.
Ultima battuta. Applausi. Ringraziamenti e quindi camerino per cambiarmi d'abito. Il camerino è delimitato da teli bianchi appesi ad una struttura. Ognuno di noi protagonisti ne ha uno singolo. Sento la voce di Mauro Bolognini che conosco benissimo per una lunga frequentazione a Villa Zeffirelli, che chiede dov'è Brizio Montinaro. Si sposta a quel punto  un telo bianco come un velario e mi appare davanti lei: Irene Papas, seguita da Mauro. Mi fa i complimenti, mi specifica cosa soprattutto le è piaciuto della mia interpretazione, scende nei particolari. Non è dunque un saluto di cortesia essendo con Bolognini. La ringrazio in grico. Lei si sorprende sentendo uscire dalla mia bocca parole greche e si informa.  Le dico di essere di Calimera e che noi calimeresi parliamo grico. Vuole un esempio più significativo. Non solo poche parole. Allora io apro la bocca e...

 Ilie, na mi pai, mino na di
 posson en'oria tuti pu agapò.
 Ilie, pu olo to cosmo 'su pratì,
 pemmu: secundu tui ide tinò?
Ce o Ilio m'upe: - Mu canni 'ntropì,
 tui e' pleon òria p 'emena to diplò! -.
 En' ìlio, agàpimu, pu se flumizi
ce 'mbrò ' s tes addhre san ilio jalìzi.

Sole, non andare, fermati a guardare
quanto è bella colei che io amo.
Sole, tu che giri tutto il mondo,
dimmi: - Hai visto mai fanciulla come questa?
E il sole risponde: - Mi fa vergognare,
costei è il doppio più bella di me! -.
E' il sole, amore mio, che t'infiamma
e davanti alle altre come sole risplendi.

Mi abbraccia commossa. Mi abbraccia forse perché intuisce che lei è la fanciulla del canto e che a lei io l'ho dedicato.  Mi dà il suo numero di telefono. Lei, la vedova in Zorba il greco. Lei Antigone, Elettra, Ifigenia, Penelope. Lei, spera di rincontrarmi presto. Magari dopo la fine delle recite dello spettacolo che sta preparando per il Teatro greco di Siracusa con la regia di Mauro Bolognini: I giganti della montagna di Luigi Pirandello.
Il giorno della prima la chiamo per farle gli In bocca al lupo. Mi ringrazia di cuore. E' preoccupata di dover recitare in italiano ma allo stesso tempo è determinata a conquistare il pubblico. Poi mi saluta affettuosamente, mi ringrazia e mi dice: "A presto!".
           Da allora non ci siamo mai più visti né sentiti. E' il mondo dello spettacolo che funziona così.
Il tempo è passato ma io ancora sento dentro di me vivido il suo particolare affetto, il suo abbraccio che mai avrei sperato di avere nella vita, la sua stima, la sua forza, la sua bellezza, il piacere che ha mostrato di avere per la nostra comune origine. Per la nostra lingua.

 


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