Supereva - Intervista esclusiva a Brizio Montinaro

Intervista integrale di Daniela Sgambelluri a Brizio Montinaro, da Supereva

" ... Lavorare in quegli anni con Zeffirelli - genio vulcanico che emetteva continuamente idee e fantasie - ha significato lavorare in " Venti zecchini d'oro " con Renato Rascel e imparare la sua lezione di attore - improvvisatore che fiuta magistralmente gli umori del pubblico ... Lavorare con Anna Magnani ha significato rimanere fulminato da così tanta energia , in scena e fuori scena ... io non sono uno che si adatta facilmente e il doppiaggio è l' adattamento per antonomasia. Qualcosa che si fa perché della gente possa capire quello che altri dicono in una lingua diversa dalla loro. E poi non amo vedere recitare De Niro e sentire la voce di Amendola. Dico per dire. E' un falso! ... Non amo passare la mia vita al buio di una sala di registrazione ... affinché non ci siano fraintendimenti , io capisco benissimo chi fa il lavoro dell'attore in un modo diverso dal mio , ma non per questo devo anche condividerlo ... "


DANIELA: Brizio , leggendo la biografia presente sul suo sito ci colpisce questa frase che la riguarda : ” E’ una delle più singolari personalità del mondo dello spettacolo. Attore per professione è antropologo per vocazione. “ Cosa ci può raccontare a tal proposito?

BRIZIO: La frase è da attribuire a Maria Corti, la grande semiologa e narratrice, nonchè mia maestra e grande amica, da qualche anno purtroppo scomparsa. In questo modo Maria ha voluto fondere in una sola figura - la mia - le due , sempre mie, di antropologo e attore che circolavano ben separate, per convegni e set, nel mondo a compartimenti stagni dell’anchilosata cultura italiana. Priva di pregiudizi e schemi mentali la Corti ha voluto affermare in questo modo, e con tutta la sua autorevolezza, che anche in Italia vi può essere benissimo una persona che fa l’attore e l’antropologo, l’attore e il filologo, l’attore e ecc. ecc. Che l’attore non è uno che sul palcoscenico dice soltanto le parole che gli altri scrivono ma che può ‘pensare’ e trattare di tutti gli argomenti, naturalmente se ne ha la capacità e la competenza necessarie. In questa attitudine lei vedeva appunto la mia “singolarità”.

DANIELA: Attore di Cinema, Tv, Radio e Teatro ha lavorato con alcuni dei più grandi registi italiani ed europei citiamo Miklos Jancso, Luigi Comencini, Alberto Lattuada, Jean Delannoy, Franco Zeffirelli, Theo Anghelopulos, Giuliano Montaldo, Claude Pinoteau, Pupi Avati. Avrebbe voglia di raccontarci in che modo l’hanno arricchita questi grandi del cinema e del teatro?

BRIZIO: A questa domanda potrei rispondere appieno soltanto scrivendo un saggio sull’antropologia dell’attore e sulla sua capacità di vivere il set e il palcoscenico in maniera vigile e proficua. Scherzo. Non mi sembra il caso ! Voglio dirle soltanto che l’incontro con personalità così ricche e , per molti aspetti , così differenti tra loro non ti può lasciare così come ti ha trovato. Io ho costruito la mia carriera come si fa una collana: infilando perle di artisti. Sono stato fortunato. A volte ho avuto l’occasione di interpretare ruoli importanti altre volte solo piccole cose ma sempre ho avuto modo di guardare all’opera grandi personalità. Tutto quello che ho fatto mi ha riempito la vita d’attore , mi ha formato come persona. La litania dei nomi di registi che lei ha citato mi ha fatto venire in mente la mia carriera come lo scorrere lento e maestoso di un grande fiume. Ogni nome che lei ha fatto ha portato altri affluenti , altri nomi , altri incontri. Mi spiego. Lavorare in quegli anni con Zeffirelli - genio vulcanico che emetteva continuamente idee e fantasie - ha significato lavorare in “Venti zecchini d’oro” con Renato Rascel e imparare la sua lezione di attore - improvvisatore che fiuta magistralmente gli umori del pubblico. Lavorare con Anna Magnani ha significato rimanere fulminato da così tanta energia , in scena e fuori scena , da dove continuavo ad osservarla recitare quando non ero coinvolto. Luigi Comencini, scegliendomi tra centinaia di giovani che avevano fatto il provino , mi ha portato ad essere partner di Stefania Sandrelli , ad apprezzare la sua generosità come compagna di lavoro e a scoprire come la macchina da presa vada oltre ogni apparenza. Lattuada mi ha insegnato la disciplina - suonava un fischetto da arbitro senza mai alzare la voce - e l’eleganza, ma anche la forza dell’ambizione come strumento positivo di lavoro. Per lui ho incontrato sul set di “Cristoforo Colombo” Gabriel Byrne, Oliver Reed, Faye Dunaway e tanti altri attori straordinari. Mi si è aperto uno spiraglio sul mondo dello spettacolo internazionale e ne ho capito pregi e difetti. Non finirò mai di ringraziare Alberto, anche se ormai solo alla memoria. Sempre con lui ho conosciuto in un altro film l’estro bizzarro di Renato Pozzetto e la bellezza semplice, aggressiva e non artefatta di Dalila Di Lazzaro. Anghelopulos invece sin dal primo incontro mi ha fatto sentire un attore degno della sua considerazione. Mi ha gratificato per avermi visto in “Circuito chiuso”. Non è una banalità. Non accade tutti i giorni. All’epoca era un mito vivente. Nulla si sapeva di lui. Io adoravo i suoi film. Tutto il mondo del cinema era sedotto da “La recita”. Mi ha gratificato , ed io mi sono lasciato trasportare da lui verso l’ignoto, protagonista di un’avventura cinematografica e di vita, davvero fantastica anche se spesso dolorosa, tanto da convincermi a scrivere il mio “Diario macedone” per raccontarla. E così Giuliano Montaldo - uno dei migliori narratori di storie orali che io conosca - che mi ha insegnato che si può stare sul set a girare un film e si può anche ridere negli intervalli di lavoro, senza essere musoni e tristi per sembrare impegnati. E Jancso e Pupi Avati! Due esperienze talmente differenti! Jancso, ovvero della struttura blindata della ripresa. Tutto era scritto e stabilito nell’ambito del piano-sequenza. Pupi Avati, che in “Magnificat” arrivava sul set e ti consegnava pezzettini di carta contenenti le battute della scena da girare e contemporaneamente diceva “Azione!”. Entrambi, a loro modo, geniali. Affinchè non si pensi erroneamente che sia stato tutto rose e fiori devo dire che gli anni a cui mi riferisco - fine anni ‘60 inizi anni ‘80 - non erano anni favorevoli ai giovani, al contrario di quanto accade oggi che basta essere giovani per essere considerati anche bravi e belli. Il cinema oggi sembra fatto esclusivamente per loro. Allora, era esattamente il contrario. I giovani attori venivano penalizzati. Ditemi un nome di attore che si sia fatto strada in quegli anni! Non si scrivevano ruoli per loro. Erano quasi sempre chiamati ad interpretare ruoli di contorno. Io stesso dovevo portare quasi sempre barba o baffi per sembrare più adulto. Dominavano incontrastati i quattro grandi del cinema italiano per i quali e solo per i quali si scriveva. E loro non lasciavano niente a nessuno. Venir fuori era impossibile. Infatti è saltata una generazione di attori: quella degli anni ‘70. Io fui ardito, troppo ardito a ribellarmi, in un articolo del Messaggero contro questo asfittico stato di cose. Ma la mia rimase solo una debole voce, spenta nel conformismo dei giornalisti dell’epoca.

DANIELA: Tra teatro , cinema e tv quali esperienze lavorative ama particolarmente ricordare e perchè?

BRIZIO: Io amo ricordare le esperienze vive, vitali siano esse avvenute in teatro come in cinema, in televisione o alla radio. Tante volte non ho voluto fare dei film (a mio parere poco interessanti, al parere dei miei agenti interessantissimi) per fare un programma alla radio che mi interessava di più. Nel 1979 ad esempio sembrava che io mi fossi allontanato definitivamente dal cinema mentre ero soltanto impegnato a condurre un programma per Radio Tre dal titolo “Come se”. Un programma con ospiti dal quale, in un anno di trasmissioni, è passato il meglio della cultura italiana. Studiosi e personaggi che io dovevo intervistare in diretta per tre ore sui temi più vari: da Umberto Eco ad Alfonso di Nola, da Forattini a Folco Quilici, passando attraverso Roberto Vacca, Sabatino Moscati, Dario Fo ecc. Trattando i temi più diversi e alcuni per l’epoca impensabili come il riciclaggio dei rifiuti, che solo da qualche anno è un tema d’attualità. Poi, a fine 1979, decisi di chiudere il programma e andare in Grecia per girare il film con Theo. Questo mio modo di lavorare, senz’altro gratificante, naturalmente uno lo paga in termini di successo. Io sapevo perfettamente che se volevo ottenere “successo”, essere riconosciuto per strada dovevo battere continuamente sullo stesso chiodo e accettare tutto quello che mi veniva offerto. Cinema cinema cinema, fino ad impormi definitivamente. Oppure teatro teatro teatro. No. Io invece, inseguendo il piacere del lavoro e la singolarità delle esperienze, emigravo disinvoltamente da un ambito all’altro facendo a volte quasi perdere le mie tracce.

DANIELA: Lei è uno stimato interprete anche in campo editoriale. Ha scritto molti libri citiamo “Canti di pianto e d’amore dall’antico Salento” il quale ha ottenuto un ottimo successo ed è stato pubblicato anche in Grecia presso la casa editrice Kastaniotis, col titolo “Tou erota ke tou tanatou”. La traduzione è del poeta Sotiris Trivisas. Cosa prova un autore nell’essere tradotto? Ne è stato pienamente soddisfatto? Ci può parlare anche solo sommariamente di cosa tratta il libro e se nel suo animo sia proprio questo ciò che ama maggiormente ricordare?

BRIZIO: Essere tradotto significa come prima cosa avere la consapevolezza che il proprio libro può estendere il suo campo di azione anche presso lettori che non erano mai stati neppure immaginati. Questo include che il libro può essere un buon libro. Essere tradotto, dal punto di vista fisico, significa invece trovarsi davanti un figlio vestito con abiti diversi. E’ sempre lo stesso ma sono due. E’ divertente! Il mio traduttore, il poeta Trivisas, è stato eccellente. Con lui ho lavorato benissimo. Ho avuto un rapporto continuo, quasi quotidiano, di scambi di fax che è durato sette mesi. Nei fax si discuteva delle cose più disparate: dall’esatta accezione di un termine, al concetto di “modulo” come elemento ripetitivo. Di tutto insomma. In “Canti di pianto e d’amore dall’antico Salento” io ho pubblicato dei testi della tradizione popolare nella lingua greca che si parla in quella terra. Ci sono un buon numero di canti d’amore ma moltissimi sono i lamenti funebri, struggenti, che le prefiche greche usavano “cantare” a cadavere esposto nell’intento di piangere il morto in modo controllato, senza cadere nella disperazione patologica che la perdita di una persona cara può provocare. Sono tecniche antiche studiate mirabilmente dal grande antropologo e storico delle religioni Ernesto de Martino. Quei testi erano stati trascurati fino a quando io non li ho raccolti ed ho scoperto, trascrivendoli, che erano dei veri e propri testi poetici e dal punto di vista storico religioso di grande importanza. In essi veniva rappresentato l’aldilà come l’Ade omerico. Duemila anni di cristianesimo non li avevano assolutamente toccati. In essi non esisteva il concetto di paradiso o inferno come luoghi di premio o pena. L’aldilà descritto nei componimenti era un luogo estremamente democratico dove le anime dei defunti andavano a finire dopo l’esperienza terrena, senza alcuna speranza di ritorno. Era una landa sconfinata e deserta “dove per vento non si muove foglia” e dove è “panta nifta scotinì”, sempre notte buia. Insomma una vera grande scoperta ed estremamente affascinante.

DANIELA: Dando uno sguardo alla sua Filmografia leggiamo film notissimi e con interpreti che hanno fatto la storia del cinema italiano e non solo ricordiamo ad esempio “Giovannino ” (1976) di Paolo Nuzzi con Christian De Sica e Miguel Bosè , “Il giorno della civetta” (1968) di Damiano Damiani con Franco Nero e Claudia Cardinale , ” Prevoir ” (1997) di Robert Pansard-Besson. Che ricordi ha? Quali emozioni la raggiungono ripensando ai vari set cinematografici al quale è approdato ?

BRIZIO: Di questo in qualche modo le ho già parlato. Che cosa vuole che le dica? Per uno un po’ sentimentale come me che ha fatto del lavoro un’esperienza di vita ogni titolo nominato è un pezzo di storia personale. Se lei dice “Giovannino”, come faccio a non ricordare la simpatia di Miguel Bosé, le risate con Christian, i dolci siciliani divorati insieme, Taormina, Ragusa, l’ansia per la bellezza di Tina Aumont che già all’epoca stava sfiorendo. Se lei mi dice “Prevoir” mi appaiono subito alla mente i fantastici paesaggi assolati della Sicilia. Interpretando io il personaggio di Archimede, mi son trovato a recitare, in greco , camminando nel tempio di Segesta, tra le pietre di Selinunte e mi son trovato a morire, ucciso da un soldato romano, mentre ero seduto su una spiaggia bellissima intento nei miei calcoli. Morire lambito dal mare, al tramonto del sole. Sì, noi attori siamo proprio fortunati!

DANIELA: Citandola: ” Alcuni direttori di doppiaggio mi hanno molto corteggiato a suo tempo grazie alle particolari mie qualità vocali ma, se devo proprio essere sincero, il doppiaggio non mi ha mai interessato. Ho concepito la mia carriera di attore come lavoro e divertimento insieme e il doppiaggio non solo non mi ha mai divertito ma non l’ho mai condiviso appieno.”

BRIZIO: Come forse si è capito io non sono uno che si adatta facilmente e il doppiaggio è l’adattamento per antonomasia. Qualcosa che si fa perché della gente possa capire quello che altri dicono in una lingua diversa dalla loro. E poi non amo vedere recitare De Niro e sentire la voce di Amendola. Dico per dire. E’ un falso ! Dovrei pagare al botteghino la metà del biglietto! Non amo le cose che sono frutto esclusivo della tecnica. Non amo passare la mia vita al buio di una sala di registrazione. Insomma, tranne in casi rari in cui il doppiaggio è accettabile, amo vedere i film in edizione originale con sottotitoli. Naturalmente, affinché non ci siano fraintendimenti, io capisco benissimo chi fa il lavoro dell’attore in un modo diverso dal mio, ma non per questo devo anche condividerlo.

DANIELA: La ringraziamo per la sua disponibilità , infine le chiediamo , se vorrà , di darci qualche anticipazione sui suoi progetti più imminenti.

BRIZIO: Ho appena finito di scrivere un altro libro , l’ottavo , e sono alle prese con editori ecc. Questo in attesa che le cose nel mondo del cinema cambino e arrivino più soldi per i progetti dei giovani che mi hanno chiesto di lavorare con loro e mi hanno offerto di entrare a far parte delle loro belle storie.