Il messaggero

LIBRI
Mercoledì 28 gennaio 198
Cinema / Su Anghelopulos

L'esteta con maschera politica
di Giuseppe Saltini

Tra i non pochi equivoci alimentati dalla nozione di cinema detto "d'autore", uno dei più vistosi è l'effetto "mania di grandezza" suscitato in taluni suoi esponenti. Il primo nome che viene in mente è quello di Coppola, il quale è rimasto oltre un anno nella giungla a smontare, modificare, distruggere e ricostruire una "macchina" filmico-bellica che poi, a risultato finito, somigliava a un'operazione di tipo "underground" - beninteso "monstre" - confezionata secondo i criteri dello spettacolo superindustriale. Altre conseguenze, fomentate dallo stesso atteggiamento, si notano nella tendenza attuale a concepire film di lunghezza spropositata.

Tutto ciò induce a una considerazione: il cineasta che attribuisce al proprio lavoro un valore assoluto finisce per concepire il cinema seconda una visione mistico-fideistica. Ecco un corollario del vecchio estetismo, suppletivo snobistico ed esangue delle devastazioni decadenti; il quale fu tacciato, giustamente, d'immaturità e di fondamentale reazione. Oggi si è gointi a una mitizzazione esclusivistica del cinema di segno simmetrico: ancora concepito come totalità assoluta, il cinema legittimerebbe la megalomania del registra "moderno" per il semplice fatto che questi attribuisce allo schermo una funzione per così dire "escatologica". E' l'utopia della "redenzione di massa".

Il cineasta greco Thodoros (Theo) Anghelopulos, del quale già vedemmo il sovrastimato O thiassos ("La recita"), è un esponente di questa tendenza ideologica. In realtà "La recita", apparente invita alla lotta sociale, esprimeva una sepolcrale elegia del passato. Canto luttuoso, narcisistica epigrafe su tombe rivestite da monumenti storici, quel film denunciava il proprio estetismo nello scollamento tra forma e contenuto. Le sue "trame" stilistiche - i tanto ammirati quanto lunghi ed estenuati piani-sequenza - ancorché geometricamente e rigorosamente concepite, anziché esprimere un lucido giudizio denunciavano una vistosa propensione all'accademia.

Anghelopulos ha girato altri film, sempre fedele alla propria retorica compositiva, tra cui l'ultimo - "O Megaléxandros" - che ha ricevuto un Leone d'oro a Venezia (nonché il Premio Fipresci della critica internazionale). Secondo le dichiarazioni dello stesso autore si tratta di un film "sulle ideologie". Ma dove ne attenderemmo la critica rispunta il patetico bisogno dell'animosità ideologica, il cui processo mistificante e consolatorio è rappresentato dalla figura finale di un bambino che si dirige verso una simbolica città. portando in sé l'incantevole purezza di un messaggio messianico. Ogni religione, anche quella sedicente laico-marzista, promette un futuro lusinghiero.

Chi vive di utopie politico-estetiche è pronto a ogni arbitrio: vorrebbe realizzarle nel microcosmo in cui opera, esempio vivente di coerenza morale. Anghelopulos accomuna il mondo al set, illudendosi di poter attuare, qui e subito, il suo protratto idealismo: l'Eguaglianza sociale, la Giustizia finalmente sovrana. Egli propone di girare "O Megaléxandros" fondando una sorta di comunità, unita nella "fratellanza". Approfittando del proprio mito o carisma - pompato dai critici e dai mass-media - il suo esclusivo interesse (realizzare un film molto lungo, ambientato in una regione impervia della Grecia) si ammanta di nobile altruismo: partecipazione e seduzione convergono. E così il cerchio si chiude: la dicotomia che l'esteta, oggi mascherato da cineasta "politico", poneva tra arte e vita, rimante intatta, ora che tra arte e vita, in virtù di un volontaristico rovesciamento, si vuole abolire ogni differenza.

Ne resta coinvolto un attore italiano - Brizio Montinaro - che in un primo tempo, soggiogato dal regista, partecipa al film con entusiasmo; poi, grazie alle esperienze vissute durante la lavorazione, diviene consapevole delle "manovre" cui è sottomesso, ne fa un rendiconto obiettivo, si libera delle proprie illusioni.

Tali esperienze si sono depositate, giorno dopo giorno, in un diario. Esso non pretende di chiudersi in una sintesi, lasciando al lettore - com'è scritto nella prefazione - la libertà di trarre le proprie conclusioni. Noi abbiamo cercato di farlo, interpretando le vicende che vi sono narrate, consapevoli che lo sguardo "dietro la cinepresa", lo spazio illuminato da questa preziosa testimonianza di un attore, disvela quella parte nascosta del cinema che è attraversata da mille difficoltà, ambiguità e contraddizioni.